L’importanza di chiamarsi Ernesto, uno dei lavori più celebri di Oscar Wilde nella versione, decisamente frizzante e un po’ pop del duo Ferdinando Bruni e Francesco Frongia.
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Poche altre opere letterarie giocano con il titolo come “The importance of being Ernest”. Ecco perché è sempre stato così arduo tradurlo e la versione letterale L’importanza di chiamarsi Ernesto appare decisamente inadeguata. Ma anche sostituire Ernesto con Franco, non riesce a rendere a pieno il gioco di parole. Del resto, il lavoro teatrale di Wilde vuole proprio smascherare le ambiguità di un mondo che si regge appunto sulle ambiguità e le contraddizioni. E questo non può che passare anche dal linguaggio, dove la mistificazione è più facile ed evidente. L’edizione portata in scena da Bruni e Frongia – che vede Ida Marinelli vestire i panni di Lady Bracknell, Giuseppe Lanino quelli di John Worthing e Riccardo Buffonini quelli di Algernon Moncrieff; mentre Elena Russo è Gwendolen e Camilla Violante Scheller la giovanissima Cecily; Luca Toracca è il

L’importanza di chiamarsi Ernesto, un altro successo per il duo Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
reverendo Chasuble, Cinzia Spanò la governante Miss Prism e Nicola Stravalaci il maggiordomo e il cameriere – arriva sul palco dell’Elfo poche settimane dopo “Atti osceni”, del resto si tratta proprio del lavoro che era in scena a Londra all’inizio del doloroso percorso giudiziario che porterà Wilde alla rovina. E come spiega il sito dell’Elfo: questa “commedia frivola per gente seria”, col suo titolo che sfida i traduttori è l’esempio più bello di come Wilde, attraverso l’uso di un’ironia caustica e brillante, sveli la falsa coscienza di una società che mette il denaro e una rigidissima divisione in classi al centro della propria morale. Il rovesciamento paradossale del senso è l’espediente più usato dall’autore che ci appare così, a una prima lettura, come un precursore del teatro dell’assurdo, mentre in realtà è impegnato a “smontare” con sorridente ferocia i luoghi comuni su cui si fonda ogni solida società borghese. ”Quel che Dio ha diviso, l’uomo non cerchi di riunire”. “L’antico e tradizionale rispetto dei vecchi per i giovani è morto e sepolto”. “Sono convinta che il campo d’azione di un uomo debbano essere le mura domestiche. Ogni qualvolta un uomo comincia a trascurare i suoi doveri casalinghi diventa penosamente effeminato”… E via rovesciando frasi fatte a gambe all’aria e portando scompiglio nell’ordinato repertorio della saggezza popolare. Un’irriverenza che non è mai fine a se stessa, ma che indossa senza vergogna la maschera dell’umorismo e della farsa. E se si potrebbe venir tentati di leggere Earnest come una scrittura in codice che strizza l’occhio all’ambiente omosessuale dell’epoca e ai suoi sottintesi e sottotesti, molto presto ci si rende conto che, ben più genialmente, Wilde inventa un linguaggio inedito che pone le basi dell’umorismo queer, un umorismo che,

“The importance of being Ernest” la traduzione italiana L’importanza di chiamarsi Ernestonon rende l’idea, per l’assonanza tra Ernesto e onesto
attraverso l’epoca d’oro della commedia hollywoodiana, è arrivato fino a noi, anche attraverso popolari serie televisive, senza perdere in freschezza e causticità . Restituire questa allegra cattiveria richiede secondo noi una mano registica leggera e complice. Il palcoscenico diventa così un foglio bianco su cui far risaltare i “colori” dei personaggi in un gioco che prende in prestito ai cartoon e all’immaginario pop la capacità di sintesi e di leggerezza e lascia campo libero ai funambolismi verbali, alle vertigini di una logica ribaltata che a volte sembra ispirarsi al mondo alla rovescia del nostro amato Lewis Carroll». Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
L’importanza di chiamarsi Ernesto, di Oscar Wilde, regia, scene e costumi di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, con Ida Marinelli, Elena Russo Arman, Luca Toracca, Nicola Stravalaci, Giuseppe Lanino, Riccardo Buffonini, Cinzia Spanò, Camilla Violante Scheller
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