Sale l’attesa per gli U2 a Roma. Nell’attesa non mancano i primi giudizi dei critici, basati sui concerti già tenuti a Berlino o altrove. Giudizi non sempre entusiasti e che ricordano, fra nostalgie e rimpianti, che sono passati 30 anni dall’uscita di The Joshua Tree, l’album simbolo degli U2 cui è dedicato il tour e il concerto degli U2 a Roma.
Così pubblichiamo due articoli – di Sandra Casarale sull’edizione romana del Corriere e di Valerio Cesari su il Fatto Quotidiano – che possono aiutarci a trascorrere nel modo migliore le ore che ci separano dai concerti degli U2 a Roma.
A proposito su
https://www.alpostomio.com/it/cat/10/musica-leggera–rock–pop—
Ci sono ancora biglietti disponibili per gli U2 a Roma!!
Se poi qualcuno volesse pubblicare le sue impressioni sul concerto degli U2 a
Roma può inviare una e-mail a blog.alpostomio@gmail.com.
Iniziamo con Sandra Casarale che racconta come gli U2 a Roma – anche grazie a Noel Gallagher che apre i concerti del tour della band irlandese – faranno della città la capitale del rock.
(http://roma.corriere.it/notizie/cultura_e_spettacoli/17_luglio_12/gli-u2-roma-l-america-donne-30-anni-rock-a772cff4-66e5-11e7-9cb7-9d56a32dcee8.shtml)
Il taglio di capelli del 1987, oggi potrebbe sembrare datato. La loro musica no. Così la rivista Rolling Stone America ha riassunto i 30 anni di «The Joshua Tree», l’album che gli U2 stanno portando di nuovo on the road in un tour che sabato e domenica arriverà anche allo stadio Olimpico nelle uniche due date italiane. Sarà l’evento dell’estate che farà di Roma, per due giorni, la capitale
del rock.«Non è da noi autocelebrarci», ha raccontato Bono. I magnifici quattro di Dublino mercoledì suonano a Berlino e già da giovedì potrebbero arrivare a Roma. Ieri, intanto, gli operai hanno iniziato a montare il palco che dà le spalle alla Curva Sud. E, anche se non c’è ancora il sold out, sono rimasti pochissimi posti in tribuna Montemario e pochissimi biglietti anche nel settore distinti, per di più con visibilità limitata.
Gli organizzatori si aspettano il tutto esaurito per le due date: sessantamila persone ogni sera affolleranno l’arena del calcio per cantare brani che sono diventati dei potenti inni di pace e libertà. Sarà un concerto blindato. Ieri c’è stata la prima riunione di Questura e Prefettura: le due serate, considerata l’alta affluenza di pubblico a ventiquattr’ore di distanza, saranno trattate come un doppio derby Roma-Lazio. Sono previste misure di sicurezza straordinarie: sarà schierato un 30 % in più rispetto ad altri eventi di uomini delle forze dell’ordine, aumentato anche il numero degli steward all’interno dello stadio, previsti tre prefiltraggi e altri 30 metal detector rispetto ai soliti, con spettatori in coda e perquisizioni. Vietate lattine e bottiglie di vetro.Alle 18 salirà sul palco Noel Gallagher che apre i concerti degli U2 in tutto il tour europeo. Nel primo dei due live londinesi, l’ex Oasis ha duettato con Bono & co sulle note di «Don’t Look Back in Anger», un successo anni Novanta della band guidata dagli irrequieti fratelli Gallagher. Tutto lo show è costruito intorno alle canzoni composte e pubblicate durante le amministrazioni di Ronald Reagan e
Margaret Thatcher. Gli Stati Uniti, ha ricordato Bono erano un paese diviso fra la grandezza del mito, e la realtà di un popolo che aveva perso la forza del sogno americano. Bono, The Edge, Larry, Adam erano quattro ragazzi alla ricerca delle origini del rock, in quella che per loro era la terra promessa. Questo non è un tour nostalgico: semplicemente le canzoni di trent’anni fa si sono trasformate in uno specchio anche della presidenza di Donald Trump. Dopo il risultato delle elezioni americane, la band ha accantonato l’uscita del nuovo «Songs of Experience» e ha messo mano a questo tour. La sagoma nera dell’albero del deserto californiano che ha dato il titolo al disco domina il megaschermo e si riflette nella forma della passerella che si allunga sulla platea. Nei video — firmati dal mago delle immagini Anton Corbijn — dai colori psichedelici o in un più sobrio ed elegante bianco e nero che scorrono durante l’intera durata del concerto domina l’America rurale, le sconfinate highway che tagliano il deserto. Ma prima di affrontare l’album che rese i quattro ragazzi irlandesi delle icone planetarie (con 25 milioni di copie vendute), la band riassume la sua storia precedente «The Joshua Tree» in una manciata di canzoni:
«Sunday Bloody Sunday»
https://www.youtube.com/watch?v=EM4vblG6BVQ
«New Year’s Day» da youtube
e «Pride»
L’ultima parte dello show è dedicata al futuro che, nella visione di Bono, è rappresentata dalle donne («luce del mondo e lampadina sulla mia testa»). Sullo schermo una galleria di volti femminili, un’ode alle donne con le protagoniste di secoli di battaglie per i diritti civili: da Rosa Parks alle Pussy Riot, da Angela Merkel a Patti Smith, da Malala alle suffragette. Ha ricordato Bono: «Ci siamo chiesti: come sarebbe il futuro? Allora qualcuno ha detto e, potrei essere stato io, il futuro è delle donne. Io ci credo davvero».
Diverso l’approccio di Valerio Cesari all’evento de gli U2 a Roma che paragona il tour degli U2 – dedicato ai 30 anni dell’uscita dell’album The Joshua Tree – al tentativo un po’ goffo di Nokia di riproporre il glorioso, ma vetusto, 3310.
Con la data di Londra andata in scena sabato 8 luglio, ha preso il via il tour europeo degli U2 o, per meglio dirla, sono proseguite le celebrazioni scoccate per i 30 anni dall’uscita dell’album capolavoro The Joshua Tree: disco (sempreverde) e sempre presente in tutte le classifiche di rito, annoverato da più parti tra gli album imprescindibili della musica recente e, forse, punta massima del pensiero artistico di Bono Vox e compagni. Come ogni azienda che si rispetti (e gli U2 da tempo si muovono come altre band alla maniera di una multinazionale ben guidata), il gruppo irlandese ha deciso di acchiappare al volo la prevedibile occasione e rinforzare un brand un po’ opacizzato. Nell’ultimo quarto di secolo, infatti, la sperimentazione e la ricerca culminate proprio in The Joshua Tree (nel quale convergono elementi della musica soul, blues e gospel) hanno trovato approdo felice solo nei successivi Rattle & Hum (1988) e Achtung Baby (1991). A lungo andare, gli U2 – che avevano saputo ridisegnare i canoni della new wave, del rock ma anche del folk e del pop (grazie ai consigli disinteressati degli amici illustri Bob Dylan, Patti Smith e Keith Richards) – sono diventati (e non è il loro un caso unico) un gruppo niente più che consapevole, capace di tirare fuori (al momento opportuno) canzoni e dischi saltuariamente all’altezza di una storia comunque gloriosa, cui guardare con rispetto. In questo senso, l’operazione pronta ad approdare qui in Italia con il doppio appuntamento romano previsto per il weekend, pur costituendo per i fan (e gli amanti della buona musica in generale) un’occasione imperdibile, non può che rimandare alla mia mente il tentativo (goffo) di Nokia di reimmettere nel mercato il glorioso 3310. Sì, perché è lecito, ma ancor prima comprensibile, che il quartetto irlandese voglia essere ricordato per questo e non, ad esempio, per il vespaio di polemiche scatenato dopo che l’ultimo Songs of innocence era stato regalato a tutti gli utenti iTunes molti dei quali – è cosa nota – non hanno neppure voluto scartare il pacco.
Un lifting prevedibile, cui sembrano obbligati a sottoporsi tutti i grandi (superstiti) della musica rock, pop e metal, che nei palazzetti come nei locali di media capienza girano sciogliendo a poco a poco le bende di un passato inarrivabile al ritmo di un presente che li vede scottati da un pubblico e nuove modalità di fruizione che vorrebbero alienarne la grandezza. Escamotage o mossa furba che sia, cercando per una o due notti di non allargare il discorso oltremodo, varrà sicuramente la pena far finta di niente e sognare di essere tornati in quegli anni: quando l’indignazione, la rabbia e il sogno tanto agognato delle praterie americane regalava al mondo un’opera degna di essere preservata per le generazioni a venire.
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